Però devo ammettere che i quasi cinquanta non li dimostro. Sarà che da qualche anno mi è presa l’estrosità. Il colore dei capelli è ogni volta una sfida tra me e il parrucchiere, il mio outfitè sempre ai limiti dello stravagante e forse troppo azzardato per una… una quasi cinquantenne. Mio marito si diverte e spesso parlando di me dice che ha una moglie pazza. Ma poi ride ed è contento di avere una compagna creativa e imprevedibile. Insomma, con me non si annoia mai (o almeno spero).
Per noi donne questo numero rappresenta il cerchio di fuoco da saltare non una ma più e più volte. Il corpo cambia, la fertilità ci abbandona, lottiamo con ormoni impazziti, rughe e fossette non autorizzate iniziano a delineare una nuova espressione.
Accettare i cinquant’anni è dura, è fastidioso, è insopportabile.
La fase più critica è quella delle domande. Facciamo bilanci, stiliamo liste di cose fatte e quelle ancora da fare. Riempiamo quaderni di vitali interrogativi che poi abbandoniamo, quaderni e domande, in attesa di trovare le risposte.
Rovisto nell’armadio, frugo nei cassetti e mi rendo conto che non ho oggetti preziosi o fondi bancari da lasciare in eredità. Non ho figli quindi della mia eredità non importa un fico secco a nessuno. Per i miei nipoti e pronipoti sarò uno sbiadito ricordo sulle fotografie di Natale o di qualche compleanno a casa dei nonni. Forse a qualcuno resteranno le parole, i baci e gli abbracci, ma presto anche quei momenti scivoleranno via con il tempo, perché il tempo divora ogni cosa.
Ogni cosa è stata come l’avevi sognata?
Non fare troppe storie, mi dico, in fondo sei stata fortunata, poteva andarti molto molto peggio, invece sei qui a leggere, scrivere e a trastullarti in attesa della prossima primavera.
E le inquietudini? E chi non ne ha. La vita, mia cara, va assaggiata, boccone dopo boccone, piano, senza saziarsi troppo, senza strafare.
Ma sei sicura? Non so, ma almeno è un pensiero, un punto di partenza.
Ho camminato con scarpe basse e leggere, ho messo gli stivali d’inverno e in estate ho corso a piedi nudi sull’erba perché era il tepore della terra che volevo sentire, e qualche volta l’ho sentita, la terra sorridere ai miei desideri. Per brevi istanti ho abbracciato una felicità fanciulla e di tanto in tanto l’ho spruzzata di leggerezza.
Fugge e poi ritorna, è così la felicità, inafferrabile e inaspettata.
Mi preparo per un nuovo viaggio, cambio treno, cambio vagone, devo prendere posto, il mio posto. Preparo una valigia essenziale, lascio sulla banchina il rammarico e i rimpianti insieme ai tanti pensieri superflui. Con me ho pacchetti di ricordi, compatti e ordinati, riposti con cura in fazzoletti di seta. I sogni li metto in una scatola di latta al riparo dalla luce per non farli sciupare anche se forse, di sogni, ne ho troppi da realizzare per una vita sola. Ma il bello dei sogni è che spesso non si lasciano domare e per quanto assurdi siano avranno sempre un cielo stellato pronto a danzare per loro.
L’importante, mi dico, è avere una stanza dove trovare riparo quando arrivano le tempeste. Ed io, in quella stanza, ho affrontato le tempeste più furiose, tenuto a bada il dolore che tentava di spezzarmi e rubarmi il respiro. Lì ho trovato la forza di ricompormi, di accettare il nuovo corso delle cose, di ritrovarmi mutilata e imperfetta. In fondo, ho pensato, è l’incompletezza la sostanza di cui è fatta la vita. No?
Nulla è per sempre, questo ho imparato a mie spese. Finché è il mio motto segreto, la parola magica per svegliarmi ogni mattina e sentirmi un po’ nuova, rinnovata almeno fino a sera. Poi tutto ricomincia.
Intanto scrivo, lascio incompleti i racconti, li rileggo, aggiungo dettagli, alcuni li elimino definitivamente.
Sono arrivata ai cinquanta e se metto un punto tra cinque e zero ottengo una versione di me cinque-punto-zero. Ecco, l’upgrade è facile da fare. Passo a una versione aggiornata del mio sistema-vita e tutti i problemi si risolveranno da soli. Nessuna indecisione, indietro non si torna, abbandona la nostalgia in un posto sicuro, mi dico, dove nessuno la troverà mai, nemmeno tu.
La vita è come un fiume — è scritto in un libro — bisogna risalirlo come fanno i pesci, quelli agili e tenaci, perché la bellezza e la meraviglia stanno nel viaggio e non nella destinazione. Ma il viaggio non può darti nulla se non sei capace di resistere quando è il momento di resistere e mollare quando è ora di mollare. Istinto, consapevolezza, coraggio e un poco di fortuna sono gli attrezzi perfetti da tenere sempre con sé.
Un numero non conta nulla, mi dico, è pura matematica all’anagrafe del tempo. E allora mi avvio su questa nuova strada, la calpesto oggi, la calpesterò domani… finché… finché arriverà dicembre e ne conterò 50 tondi tondi.
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